Chi ha almeno 40 anni, avrà conosciuto o, se più giovane, sentito parlare dei Paninari. I paninari nacquero negli anni ottanta a Milano per poi diffondersi prima nell’area metropolitana milanese, poi in tutta Italia ed anche nel Canton Ticino.
La cosa che accomunava tutti i ragazzi di questa “subcultura”, sostanzialmente l’unica del genere nata in Italia, era l’ossessione per l’abbigliamento griffato e l’adesione a uno stile di vita fondato sul consumo che coinvolgeva ogni aspetto della vita quotidiana.
Il fenomeno divenne presto noto in tutta Italia tanto da portare alla nascita di riviste e parodie televisive.
Vediamo quali sono quindi i giubbotti dei paninari più usati, secondo una diretta testimonianza di chi quell’epoca l’ha vissuta in prima persona.
“Passion and love, sex, money…Paninaro, Paninaro, oh oh oh…Girls, boys, arts, pleasure…Armani, Armani, A-A-Armani”
Con queste parole a metà anni ’80 il famoso duo inglese dei Pet Shop Boys mi regalò, o meglio ci regalò un inno, il nostro inno, la song paninaro.
Per una generazione come la mia, è un qualcosa che ancora oggi mi emoziona, soprattutto se riguardo per la milionesima volta il video, dove appaiono luoghi, amici, simboli della mia adolescenza, e dove rivedo ciò che mi lega ancora oggi a quel movimento giovanile tutto nostrano denominato Paninaro style.

Si, nostrano, perchè quel movimento è tutto autoctono, nato, cresciuto, sviluppatosi in Italia e non importato come molti altri movimenti giovanili di allora o come molti li etichettano con l’appellativo di “sottoculture giovanili” dagli USA e UK, tra i quali, ricordiamo i Dark, i Punk, i Metallari, i Mod, i Rockabilly, New Wave, ecc ecc.
Piumino Schott
Piumino Uomo
Ma veniamo a noi, cosa ancora oggi mi catapulta in quegli anni della mia spensierata gioventù!?!? Cosa mi fa rivivere ed assaporare le vasche tra il Duomo e San Babila, tra piazzetta dei Liberty e Largo Corsia dei Servi !?!? Dimenticavo, anzi, davo per scontato che in molti abbiano mai percorso o vissuto quei luoghi, quei meravigliosi luoghi delle pampas meneghine, della Milano da bere, della Milano dei bauscia e dei casciavit, della Milano scrutata dalla Madunina che veglia sull’intera moderna City.
Tutte queste domande per arrivare lì… al capo di abbigliamento per eccellenza, il capo principale nell’attrezzatura di ogni Gallo (appellativo dato ai Paninari più meritevoli): sua maestà il jacket, il “giumbotto” per dirla alla Giorgio Faletti, il “piumino troooppoo giusto” per dirla alla Enzo Braschi!
Si ok, altri capi non possono mancare nell’attrezzatura d’ordinanza del vero Paninaro, ma al primo sguardo il giubbotto è fondamentale, un biglietto da visita, che molto racconta, chi sei e chi vuoi essere.
Il modello, la forma, il taglio, il colore, il materiale, la derivazione, la storia di una jacket, sono particolari che agli occhi di molti appariranno irrilevanti ai fini del giudizio o acquisto di una giacca, ma a molti, soprattutto noi che leggiamo e seguiamo blog e articoli come quelli lumati su PistolPocket.it, sono di fondamentale importanza.
Ma vediamo nel dettaglio, una “breve” classifica storica causale dei giubbotti dei paninari.
BOMBER

Il bomber, anche detto il Bomber del mercatino di Viareggio (famoso mercatino dove recuperare abbigliamento militare USA), è forse il primo in ordine cronologico (anzi, senza il forse) apparso indossato da quei ragazzi che si trovavano al bar Al Panino di piazzetta dei Liberty, luogo da cui deriva il nome del movimento Paninaro (ma questa è un’altra storia). Ancora oggi è un vero must senza eguali.
Rinnovato, idolatrato, ma sempre unico nel suo genere. Il Bomber in nylon nei tre principali colori blu navy, verdone o nero (oggi lo trovi nei più disparati colori), che lo si indossi per andarci a scuola, al lavoro, oppure al contrario (l’interno rigorosamente di colore arancione acceso, pensato per essere ben visibile in caso di soccorso), rimane sempre ideale per ogni occasione.
I più belli erano e sono quello di Alpha Industries, con la leggendaria etichetta rossa “Remove Before Flight” sulla cerniera del taschino porta cartucce sulla manica sinistra, quello di Avirex con la patch del logo Avirex USA in velcro sul petto, quello di Schott e infine quello della Wilker Industries Inc.
Una versione molto diffusa e simile al bomber era il cosiddetto Canadese, con un enorme cappuccio suddiviso da cerniera e bordato in pelo di coyote.

MONCLER

Il piumino per eccellenza: Moncler è il piumino Paninaro per definizione. Gonfio, colorato, caldo, con il simbolo del galletto, era perfetto per i freddi e nebbiosi inverni milanesi e per essere sfoggiato sulle piste di Curma, Cortina e tutte le mete sciistiche invernali dei giovani Paninari.
La versione senza maniche era molto utilizzata sopra il giubbotto di jeans, con o senza pelo, purché il colore del Moncler si abbinasse alle Burlington (mitiche calze a rombi): allora sì che eri davvero al top.
Come detto, il Moncler era obbligatorio; ma chi voleva emergere dalla massa, dopo averne avuti parecchi, si spostava su un nuovo piumino d’élite: il Millet. Un Millet in mezzo a decine di Moncler era il salto di qualità che ti faceva apparire un vero super Gallo, vuoi per la difficile reperibilità, vuoi per il prezzo non proprio popolare. Molto diffuso anche tra i Tozzi (Paninari di Roma).
Piccola parentesi al femminile: le Preppy/Sfitinzie (le Paninare) oltre al Moncler esibivano il “Gigirizzi”, piumino dalle fattezze simili, ma con piccoli disegni sparsi ovunque (fiocchetti, ombrellini, aeroplanini, borsette): l’antenato perfetto delle stoffe Naj-Oleari.
Da citare anche i piumini di Best Company: se avevi una felpa o una t-shirt Best, perché non avere anche un piumino, magari smanicato?
HENRI LLOYD

Se sulle piste da sci esibivi il Moncler, al mare, al lago o meglio in barca non potevi esimerti dallo sfoggiare il Consort by Olmes Carretti (lo stesso di Best Company), ovvero l’Henri Lloyd, modello nato per le regate. Inconfondibile, unico nel suo genere, è l’antipioggia per eccellenza: colorato, cool, con taglio marinaro, colletto in velluto e interno trapuntato a contrasto.
SCHOTT 184SM

Mitico giubbotto in pelle made in USA. Chi non lo ha avuto, sognato, desiderato a tal punto da fregarsene di come gli stesse addosso pur di averlo? All’epoca quasi tutti, credendo che le taglie USA fossero equivalenti a quelle italiane, si cuccavano lo Schott taglia 44 USA (pari a una 52 italiana), con l’effetto “giubbotto di papà”. Ma poco importava: l’importante era avere lo Schott.
I colori principali erano testa di moro e nero, ma il vero top era il color miele, reso celebre dal personaggio Panoz, protagonista del fumetto “Paninaro”.
Oltre al modello 184, Schott produceva già da anni il 674, allora quasi sconosciuto ma oggi sogno proibito di molti. Differenze: pellame diverso, finiture, taglio più slim del 674 e, soprattutto, il pelo fisso (collo e interno) per il 674, mentre nel 184 il pelo è asportabile tramite zip e bottoni.
Molto apprezzato era anche lo Schott Down, metà pelle e metà piumino di nylon con maniche staccabili, indossato persino in spiaggia con stivali Durango e boxer da bagno. Anni ’80, tutto era concesso.
AVIREX B-3

Per i mesi più freddi, l’unica vera corazza contro il sottozero era il massiccio B-3. Pesante come un macigno e caldo come una stufa a legna in baita, che fosse prodotto da Schott o Avirex poco importava: con un B-3 ti sentivi invincibile. Il B-3 è storia pura.
Utilizzato dal Generale George S. Patton e da Sly in “Rocky IV”, è uno dei capi più iconici del guardaroba Paninaro.
AVIREX TOP GUN

Per molti l’Avirex Top Gun era il top assoluto. Come non immedesimarsi in Maverick, come non sentirsi un po’ belli e impossibili come Tom Cruise?
Quando lo indossavi e sfrecciavi in centro con il tuo “ferro” 125cc ti sembrava di cavalcare la Kawasaki GPZ 900 R del film, o addirittura di poter fare un volo radente in F-14. Quelle patch, quella fodera interna con la cartina geografica ti facevano sognare di essere anche tu di stanza su una portaerei nel mezzo dell’oceano.
SHERPA E DENIM

Lo Sherpa di Levi’s è la versione invernale del classico giubbotto di jeans, con pelo sintetico sul collo e all’interno, e l’inconfondibile etichetta rossa (red tab). Levi’s, come Moncler, deteneva lo scettro, ma praticamente ogni brand dell’epoca aveva il suo giubbotto di jeans.
Per essere storicamente corretti, i primi denim jeans, camicie e giubbotti utilizzati dai primissimi Paninari erano di Rifle, storica azienda italiana legata all’immaginario del West. Poi arrivarono Americanino, con i due indiani faccia a faccia, la grande U verde di Uniform, la rosa ricamata di El Charro, da abbinare a cinture e mega fibbie. Di nicchia i giubbotti di jeans Durango, Schott, Avirex, Closed, Torquise, e Best Company con il Germano reale o il tenero procione di Olmes Carretti.
I giubbotti di jeans venivano spesso indossati sotto i piumini Moncler nella versione sherpa: con un giubbotto di jeans eri un gallo, con lo Sherpa sotto il Moncler eri un gallo di Dio. L’alternativa era il giubbotto jeans senza pelo sotto il Bomber, per essere un vero Randa (la versione più cattiva del Paninaro).
Il giubbotto di jeans era perfetto per essere personalizzato con patch, toppe, disegni, spille. Mentre i Metallari lo riempivano di pins e patch delle band metal, i Panozzi preferivano Paperini arrabbiati e Snoopy sognanti. Le Preppy invece adoravano rivestirli con le stoffe Naj-Oleari e abbinarli a postine, fiocchetti e cerchietti.
STONE ISLAND E C.P. COMPANY

Stone Island e C.P. Company, entrambi nati dalla mano di Massimo Osti, hanno segnato lo stile dei giovani Paninari sin dalla loro nascita (1982), spostando l’asticella della qualità e dell’innovazione molto più in alto.
Modelli come il Mille Miglia di C.P. con il cappuccio con i goggle, o l’ICE Jacket di Stone Island con tessuto termosensibile che cambia colore, hanno fatto epoca. Come dimenticare il Reflective, con tessuto rifrangente grazie alle microsfere di vetro?
Stone Island accompagna molti di noi ancora oggi: mostrare il badge con la rosa dei venti è motivo di orgoglio e senso di appartenenza. Non a caso il brand nasce nel 1982, proprio quando il movimento Paninaro esplode. Di Stone i Paninari non amavano solo qualche capo: amavano tutto, dai jeans alle felpe, dai maglioni ai capispalla di derivazione marina.
Ovviamente molto di ciò appena descritto non è un’assoluta verità oggettiva: è ciò che ho vissuto io in prima persona in quella meravigliosa decade che sono stati gli anni ’80. Qualcuno la penserà diversamente, qualcuno avrà da ridire, qualcuno avrà da aggiungere molto altro… ed è proprio per questo che molti vecchi e nuovi amici si ritrovano in Company, “Paninari la Company”, pagina FB dove quotidianamente ci scambiamo foto, opinioni, storie e ci accordiamo per il prossimo raduno in San Babila, dove finalmente ci rivediamo e finalmente possiamo sfoggiare tutti i nostri jacket preferiti.
Marco ultimo dei Paninari
“Grazie a Marco Beltrami, ospite e copywriter d’eccezione, per aver condiviso testimonianze e informazioni preziosissime sul movimento dei Paninari”




Bellissimo racconto di quei fantastici anni e dei capi d’abbigliamento simboli di una generazione.
Mi permetto di citare un’altro Jacket di quel periodo , da me posseduto nella versione blu ma che al tempo era disponibile anche nel verdone.
Il mitico soprabito da equitazione HUSKY.
Che in un numero del fumetto citato si rendeva protagonista come oggetto di uno scippo al grido di : ” Molla st’ HUSKY !!! “.
Complimenti per il sito e per le impeccabili recensioni e storie sui giubbotti Schott e altri.
Gianluca
Grazie per questo ulteriore “tassello”. Ciao!
https://www.youtube.com/watch?v=eyiaePlM7lk
Grazie Bircide!
Con questo racconto sono tornato nei mitici anni 80 che dire fantastici anni capi unici che ancor oggi sfoggio nn proprio come una volta però le mitiche timba sebago burlington cintura el charro moncler levis CP compani Ray ban nn possono mancare. Sempre sul pezzo ciao Panoz buona serata 👍
Grande Marco, contenti di averti fatto fare un tuffo nel passato.
Un’altro giubbotto che manca all’appello almeno da noi a Roma, è il Dolomite rigorosamente blu e verde!
Il dolomite a rombi double face!